Sentire qualcuno dire di non aver mai sperimentato in prima persona cosa significa avere una fobia, sembrerebbe strano. Chi di noi, infatti, non ha mai avuto, per un periodo più o meno esteso di tempo e in modo più o meno intenso, paura di qualcosa ( o, perchè no, di qualcuno )?
Il termine “fobia”, utilizzato ad oggi anche dai più conosciuti manuali diagnostici di disturbi mentali, viene così definito dal dizionario di lingua italiana: “paura eccessiva, che appare irrazionale e immotivata, per qualche particolare tipo di oggetti o situazioni”. Più in particolare, verrà approfondita in questa sede quella che tecnicamente viene definita coulrofobia, ovvero la paura dei pagliacci e dei clown, molto diffusa e per questo oggi molto utilizzata per esempio in ambito cinematografico ( basti pensare all’ultimissimo film IT uscito da poco nei cinema che prende ispirazione dall’omonimo romanzo horror di Stephen King ).
La coulrofobia è definita come “paura persistente, anormale e ingiustificata” dei clown. A differenza di quanto si possa pensare, è molto diffusa tra i bambini e tende a persistere anche in adolescenza ed età adulta. Ovviamente, sono diversi i gradi in cui le persone soffrono questa fobia. Non sempre infatti si arriva al panico o al terrore: alcuni dichiarano per lo più di provare un senso di diffidenza o disagio di fronte ad un pagliaccio. Ciò dipende in larga misura anche da cosa ha scaturito questa paura, che potrebbe essere stata acquisita a causa di una brutta esperienza con i clown vissuta in passato, magari durante l’infanzia, o semplicemente a seguito della continua esposizione, da parte dei media in generale, di immagini sinistre riguardanti questa figura. Più in particolare, chi soffre maggiormente la coulrofobia dichiara che ciò che maggiormente spaventa di queste figure è il trucco eccessivo, compreso il classico naso di colore rosso e i capelli strambi: insomma, tutto ciò che nasconde la loro vera identità. Incuriosisce il fatto che sono proprio dei personaggi che dovrebbero farci sorridere e divertire, i clown appunto, ad incuterci timore o anche, in casi estremi, addirittura terrore e panico. Ciò che risulta più interessante è il fatto che queste sensazioni negative nei confronti dei pagliacci sembrerebbero derivare dalle modalità attraverso le quali il nostro cervello elabora le informazioni sui volti e le espressioni facciali.
Un primo aspetto determinante il senso di disagio provato di fronte ad un clown riguarda sicuramente il fatto che i clown sono effettivamente delle persone. Tutto ciò che ci può sembrare buffo se applicato su un oggetto qualsiasi ( un naso rosso o una parrucca colorata, ad esempio ), riportato su una figura dalle sembianze umane ci metterà sicuramente a disagio. Questo effetto è definito dagli esperti “uncanny valley”, in italiano “valle perturbante”. Questo termine è stato coniato nell’ambito di una ricerca sui robot ed esprime l’idea secondo cui noi preferiamo e riusciamo a simpatizzare con robot umanoidi, ma proviamo repulsione e disagio di fronte a robot TROPPO umani. Il realismo esagerato di quella determinata figura, nella quale possiamo comunque percepire qualcosa “fuori dalla norma”, finisce per suscitare in noi emozioni negative. Più in generale, possiamo dire che per questo stesso motivo alcuni di noi provano disagio anche di fronte alle bambole o, appunto, ai pagliacci. A pensarci bene, un clown è una persona che non si comporta come ci si aspetta. Il sorriso è forzato, non rispetta la reale espressione del viso, gli occhi sono esageratamente marcati dai colori e dal trucco e si muovono velocemente in modo ambiguo. Il riconoscimento di espressioni umane è alla base della nostra evoluzione e ci caratterizza sin dalla nascita: il cervello non riesce a portare a termine questo tipo di codifica in presenza di stimoli ambigui e il non riconoscimento genera paura, disagio. Inoltre, esso è anche in grado di elaborare informazioni di input su come il soggetto si muove e, diciamolo, i clown hanno spesso una andatura irregolare, bizzarra, goffa, e quindi innaturale e generatrice di ambiguità e dissonanza.
Infine, non dimentichiamo l’aspetto dell’imprevedibilità. I pagliacci sono spiritosi, maliziosi, dispettosi, ma anche aggressivi. Nessuno sa mai veramente cosa un pagliaccio sta per fare o cosa sta pensando, il che sicuramente ci fa stare, anche se inconsapevolmente, in uno stato di tensione, di difesa, di allarme. A conferma di questo ultimo aspetto lo studio diretto dallo psicologo sociale McAndrews che ha lavorato su un campione di 1300 persone proprio per capire quali fossero gli elementi caratterizzanti dei clown che risultassero più spaventosi e inquietanti all’occhio umano attraverso delle interviste. Il risultato ha riportato che il fattore più comune nel campione di lavoro consisteva proprio nell’imprevedibilità. Un comportamento imprevedibile, infatti, è per definizione “tensiogeno”, in quanto potenzialmente minaccioso. L’imprevedibilità di un clown può essere assimilabile al comportamento incongruo del malato di mente, difficilmente interpretabile e dalle reazioni potenzialmente aggressive. L’adulto non subisce questo genere di suggestione, in quanto è in grado di contestualizzare la bizzarria del clown e di circoscriverla all’interno di un contesto scherzoso. Il bambino ha più difficoltà a comprendere la metacomunicazione, ovvero il concetto che definisce “gioco” l’azione aggressiva del clown, quindi ciò che diverte l’adulto può scioccare un bambino.